lunedì 22 settembre 2008

Pietro Sergi (scrittore)

Un saluto a tutti i partecipanti e ai lettori di questo Blog.
Spero che l’Associazione Culturale "Bruno Richichi", alla quale aderisco anch’io possa crescere fino al punto di essere in grado di innescare ed guidare quella rinascita culturale che tutti noi auspichiamo; nella consapevolezza che sia la nostra vera salvezza!
A questo proposito, leggo in alto sulla destra della home page del portale di informazione “Il Paese”, che "la locride non si salverà se non nascerà un nuovo senso del dovere”.
Ma un nuovo senso del dovere non nasce tutti i giorni, soprattutto non nasce da solo.
Potrebbe nascere soltanto se ci fosse una volontà forte, che io non vedo se non nei soliti, che rimangono però sempre gli stessi, senza riuscire a fare proseliti.
Viviamo una realtà dell'apparire, ma il nostro apparire è fatto di fumose cattedrali nel deserto e, soprattutto quest’anno, i segnali di fumo che abbiamo mandato sono stati esagerati, come gli ettari di terreno bruciato che abbiamo utilizzato per generare quei segnali.
Segnali che però tutto possono significare tranne la speranza che un nuovo senso del dovere possa miracolosamente nascere e svilupparsi.
L’immagine orrenda che mi sono portato dietro dalla locride, quest’anno, è quella di un uliveto invaso dalle fiamme, i Canader che giravano continuamente per spegnere gli incendi, un via vai di aeroplani che neppure a Linate nelle ore di punta.
Che senso del dovere può nascere in coloro che bruciano la propria terra e gli alberi simbolo di essa, gli ulivi? Nessuno!
Eppure esiste una cultura sommersa, sebbene schiacciata da un’altra, prevaricatrice e cinica, della quale siamo purtroppo portatori e dalla quale non riusciamo a liberarci.
Una cultura che stenta ad imporsi, perché ha come esercito alle sue dipendenze persone di indole pacifica e laboriosa, che resteranno sempre silenziose.
Già, la maggioranza silenziosa, la chiamerei.
Maggioranza solo numericamente, ma pur sempre un esercito armato di un minimo di buon senso, arma che dovrebbe essere potentissima ma che invece sembra essere sempre un’arma spuntata.
Un esercito che fino ad oggi ha conosciuto molte sconfitte e pochissime vittorie.
Le piccole realtà positive, una miriade ma quasi tutte microscopiche, sembrano rimanere strozzate, o comunque emarginate, isolate, costrette a giocare in difesa, a difendere i loro confini pur con la necessità di rimanere aperte, di cercare di contaminare positivamente l’altra cultura, quella sopraffattrice.
Ma quest’ultima sembra sorda, insensibile e sprezzante
.Ci vorrebbe una rivoluzione quasi totale, ma c'è qualcuno che creda davvero che possa innescarsi?
Ho persino l’impressione che queste piccole realtà culturali, associazioni e quant’altro, a volte tendano ad isolarsi, come se dopo aver costruito il loro piccolo angolo di mondo, la loro piccola oasi nel deserto, si rintanino lì dentro beandosi soltanto della loro diversità.
Per la rivoluzione, si dice, nessuno ha mai tempo; figuriamoci se poi questa è accompagnata dalla parola “culturale” ove mai un neonato senso del dovere possa avere la forza di innescarla.
Un nuovo senso del dovere potrebbe essere rappresentato da un massiccio arruolamento nelle fila di quell’esercito laborioso e silenzioso, tale da poter innescare una rivoluzione culturale profonda, che mandi segnali di civiltà autentica, non segnali di fumo che si alzano dai nostri simboli in fiamme, dai nostri luoghi deturpati nella loro bellezza di cui si accorge soltanto chi l’ha persa, chi è distante migliaia di chilometri.
Non sono rassegnato, ma sono sulla strada che porta alla rassegnazione…comincio a pensare che quell’esercito silenzioso verrà zittito ancora di più, che quel fumo, simbolo di distruzione e desertificazione continuerà a crescere e levarsi alto nel cielo.
Come se il nuovo senso del dovere consistesse nello sfidare la natura, fin quando sarà lei a decidere di fare una rivoluzione, smettendo di rigenerare vita laddove questa è stata distrutta dal fuoco.
Abbiamo le cattedrali inutili, stiamo lavorando per costruirci intorno il deserto.

Pietro Sergi

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